martedì 8 febbraio 2011

Armata Brancaleone: tutti gli anti-Cav ai raggi X

Tra gli antiberlusconiani nessuno ha pensato che, ognuno con la propria azione, il popolo Viola si stia impegnando al massimo per far vincere proprio l'odiato Berlusconi finché morte non ci separi.
Lo sta facendo affidando il proprio messaggio a qualsivoglia messia sia in grado, in termini di coraggio, di salire su un palco e gridare qualcosa contro il cavaliere nero. C'è speranza per tutti: ci sono eroi dell'antimafia, eroi del fascismo (prima), dell'antifascismo (nel mezzo), del post-fascismo (nell'era moderna) e antiberlusconiani (ora).
Nelle grandi occasioni poi, come quella del Palasharp, si ritorna mentalmente alla cultura hippie: siamo tutti uguali, indi per cui si abbattono anche i limiti di età: se hai qualcosa da dire contro il Cav, anche se hai tredici anni, puoi parlare davanti a più di diecimila persone in diretta tv.
Il giorno dopo tutti sui giornali a scrivere che l'Italia non è una democrazia, ma non importa.
Diamo uno sguardo ai capi e ai notabili della confraternita antiberlusconiana.
Il personaggio che ha bucato lo schermo e infiammato gli animi a Milano è stato, prevedibilmente, Roberto Saviano.
Ha deciso, di fatto, di buttarsi in politica, ma, siccome ha scritto un libro contro la mafia (lode davanti a Dio per questo), criticare le sue idee è piu pericoloso che bestemmiare in chiesa.
Eppure, se importanti e coraggiose sono le scelte dello scrittore napoletano sul fronte giornalistico, non devono, non sono e non possono essere dogmatiche o moralmente impositive le sue scelte politiche.
Non si può fare politica in nome dell'antimafia, rifiutando per questo le critiche.
Nell'ultimo anno, in nome di Saviano, ha avuto luogo una incessante caccia alla critica, che infliggeva una censura ideologica nei confronti di chiunque abbia avuto qualcosa da dire contro lo scrittore. Un censura ideologica che è addirittura arrivata a tacciare di fare parte della mafia chiunque, per un qualunque motivo, abbia più o meno infierito su Saviano. Certo bisognerebbe chiedersi se tutto ciò non strida un po' con il concetto di libertà di pensiero, di parola e di opinione.
Un altro personaggio che ha tenuto la scena al Palasharp è stato un certo Carlo De Benedetti, l'editore di Repubblica e presidente della CIR, la società che, grazie alla sentenza del giudice Raimondo Mesiano, vanta, in attesa della sentenza di appello, crediti per 750 milioni di euro verso la onnicomprensiva Fininvest di Silvio Berlusconi.
Ripercorriamo rapidamente la carriera imprenditoriale di De Benedetti: agli inizi degli anni ottanta acquista il 2% de, Banco Ambrosiano, entrando a far parte dell'azionariato. Se ne andrà due mesi dopo, col Banco sull'orlo del collasso e con 40 miliardi di plusvalenze in tasca. Accusato di bancarotta fraudolenta, dopo due condanne fu assolto in Appello.
Con l'Olivetti nel 1984 si aggiudica per un importo pari a 100 milioni di euro attuali una commessa dall'Unione Sovietica per produrre i processori per le macchine a controllo numerico.
Tutto ciò avveniva tramite una società chiamata Sebato con sede in Liechtenstein, che forniva la copertura necessaria perché non fosse chiaro che una società occidentale passasse la tecnologia più avanzata al blocco sovietico.
Nel 1989, quando Cossiga e Andreotti si recano in visita a Washington DC ricevono un avvertimento da Bush senior: Olivetti la deve smettere di fabbricare le cpu per l'URSS. Servivano all'Armata Rossa per produrre un bombardiere a decollo verticale.
Nelo stesso periodo (nel 1985), provò anche ad acquisire la SME, dopo che il governo fu orientato a privatizzare l'IRI, gruppo di cui la stessa SME faceva parte, arrivando anche a stipulare un contratto preliminare di vendita con Romano Prodi, all'epoca presidente dell'IRI. Lo stesso contratto prevedeva la cessione del 64% di SME per 437 miliardi di Lire, prezzo che corrispondeva a 1107 Lire per azione, nonostante in borsa la SME venisse scambiata a 1275 Lire per azione.
Il governo Craxi decise poi di accantonare l'idea di privatizzare l'IRI, evitando di fornire alla società il nullaosta alla vendita.
Nel 1993 viene arrestato dal pool dell'inchiesta Mani Pulite e subito presenta ai magistrati un memoriale in cui ammette di aver pagato 10 miliardi di Lire in tangenti ai partiti di governo in modo da ottenere una grossa commessa da parte di Poste Italiane per la fornitura di telescriventi e computer obsoleti. CDB viene indagato ma le maglie larghe della prsscrizione lo salvano anche da questo processo.
Nel 1996 se ne va da un'Olivetti che stava conoscendo periodi di profonda crisi (dichiarerà fallimento solo tre anni dopo) per fondare la Omnitel, la quale, grazie al provvidenziale intervento di Giuliano Amato (ai tempi presidente dell'Antitrust) acquistò a 750 miliardi di Lire la rete telefonica ferroviaria, rateizzando l'acquisto in 14 anni, con rate da 76 miliardi l'anno.
Su CDB ci sarebbe molto altro da dire, ma ci si può fermare qui.
Una "novità" dal fronte anitberlusconiano viene da Elena Sofia Ricci, attrice fiorentina nota agli italiani per aver interpretato un ruolo importante nella fiction di Mediaset "I Cesaroni".
Tre giorni fa ha dichiarato che avrebbe fatto parte della manifestazione anti Berlusconi "Se non ora quando", per rivendicare il suo ruolo di donna che non si piega e non vuole svendere la sua dignità. L'idea è anche caruccia: chissà se ci avesse pensato ai tempi dei suoi spogliarelli, cliccatissimi su internet.
La mascotte però, e qui si sfiora la vergogna, è un tredicenne. Gli organizzatori dicono si chiami Giovanni. Lo hanno soprannominato "il più giovane amico di Libertà e Giustizia". Dicono, sempre gli organizzatori, che il piccolo Giovanni si sia preparato autonomamente il "discorso" (erano una serie di domande, in realtà) e che abbia insistito lui per ottenere di fare il suo discorso in diretta tv. Va da sé che ora è un eroe e addirittura Repubblica ne ha pubblicato la foto senza nemmeno "pixellare" la sua faccia.






Probabilmente fa parte dell'esercito dei figli delle "persone perbene" che i finiani si augurano vengano separati dai figli dei berlusconiani, come fossero demoni col volto angelico. Direi che c'è davvero poco altro da dire.
Per quanto riguarda il Palasharp ci fermiamo qui.
Ci sono altre categorie di antiberlusconiani, che fanno riferimento ai magistrati e ai teppisti. Sono due categorie separate, ma a volte i primi, quando applicano le leggi, sono suggestionati dai secondi e quindi li imitano.
Qualche esempio: la scarcerazione dei manifestanti violenti di Arcore dopo poche ore dal loro arresto; l'archiviazione di un fascicolo contro gli occupatori di un liceo scientifico poiché "la protesta era legittima" (sic); la scarcerazione quasi immediata dei teppisti del 14 dicembre a Roma; la decisione autonoma dei magistrati di non applicare l'aggravante della clandestinità; la perquisizione persone della giornalista Anna Maria Greco del Giornale e del membro laico del CSM Nicola Brigandì. Mi fermo qui, evitando volontariamente di parlare delle inchieste di Berlusconi (siamo garantisti: parliamo del processo, non delle indagini).
Sui teppisti c'è poco da scrivere. Sono cretini, come chiunque decida di usare la violenza a fini politici, sebbene a volte venga assolto moralmente con la formula "è un compagno che ha sbagliato" o "ci riapproprieremo della democrazia con una nuova presa della Bastiglia" (Di Pietro dixit). Poco importa che la Bastiglia sia la dimora privata del Presidente del Consiglio.






A voler fare gli spiritosi si potrebbe dire che i comunisti non avevano ben chiaro il concetto di proprietà privata, ma non è il caso di trasecolare.
Di Santoro ne abbiamo già parlato: fa un giornalismo fazioso, schierato e trincerato. Spara con la precisione di un cecchino poi fa la vittima appena viene toccato (o appena gli viene fatto notare di essere il conduttore di una trasmissione di parte, come due settimane fa). In quel caso ringhia con la bava alla bocca. Se capitola si lecca le ferite in pubblico con la faccia triste e una storia strappalacrime che comprende lui, una cacciata dalla televisive a causa di un regime e del suo capo.
Per concludere si prenda in esame un pagliaccio. Non è Barbareschi, bensì Grillo. Poche ore fa ha annunciato di farsi carico delle spese legali degli arrestati (e subito rilasciati) dopo gli scontri di Arcore. I conti tornano quando si viene a sapere che tra questi vi è un grillino.