lunedì 25 aprile 2011

Lutto nazionale

Ogni anno, il 25 aprile, si festeggia la Liberazione dell'Italia dal fascismo. In compenso, abbiamo guadagnato i comunisti (e i capitalisti post-comunisti). Che sono quelli di CoopCostruttori e CMR.

In principio fu l'8 settembre. L'Italia si spacca in due: una, "liberata", capitanata da Badoglio; difesa dagli anglo-americani e attaccata per ripicca dai pochi tedeschi rimasti nei paraggi prima di scappare. L'altra, invece, fu la RSI, un timido esperimento di continuazione del fascismo che durerà poco e finirà male, il 25 aprile del 1945, con la "liberazione" di Milano da parte dei partigiani.
Finiti i fascisti, prendono il comando i partigiani, uniti nel solo obiettivo di decapitare la RSI, ma ben divisi sul futuro politico dell'Italia. I comunisti volevano uno stato satellite della Russia sovietica, i - futuri - democristiani e i socialisti spasimavano per uno stato democratico. In contrapposizione alle tanto vituperate camicie nere arrivarono i GAP e i SAP, pavidi terroristi che assaltavano truppe tedesche in nome della Resistenza, salvo poi nascondersi appena le rappresaglie iniziavano a farsi concrete - come nel caso dei fatti di via Rasella - oppure, con l'aiuto della Polizia Partigiana, assaltavano centri, paesi o qualsiasi luogo in cui sarebbe potuto nascondersi un fascista e, se non lo trovavano, ammazzavano tutti, indistamente, come nel caso dell'eccidio di Schio. La logica del 'ndo cojo cojo rivisitata in chiave sanguinaria e violenta. Se proprio non vi basta, provate ad andare a Pieve di Cento e chiedere dei fratelli Govoni, presentandovi come comunisti.
Ancora oggi poi, raccontare il male perpetrato dai partigiani è poco meno di un reato. Si può parlare della sinistra, di Marx, di Lenin, di Stalin, del regime nord coreano di Kim Jong Il, ma guai a parlare male dei partigiani. Loro sono intoccabili, sostenuti dalle generazioni che hanno vissuto la guerra in quanto visti come salvatori della Patria e da quelle successive, che vedono nei partigiani non la squallida recrudescenza della guerra, bensì la resurrezione della favoletta raccontata da Bella Ciao del partigiano bello, bravo e buono che salva la povera e affranta popolana.
Ma a queste cose bisogna mettere una pietra sopra: dopo una guerra queste cose sono quasi "normali"; dopo la fine di una dittatura lo sono più che mai. Così, Palmiro Togliatti, un altro comunista, mette fine alla vicenda nel metodo più iniquo che la civiltà umana e i codici consentano: l'amnistia. Vi fu una rottura col suo stesso partito, ma niente di così rilevante.
Questo per rimanere all'interno dei confini nazionali; fuori, infatti, i comunisti titini avevano appena messo a punto il sistema delle foibe.
Negli anni successivi la violenza dei compagni, una lotta fine a se stessa, non si placa, anzi.
Arrivano gli anni di piombo, e la sinistra, in tutte le sue ramificazioni - dalle Brigate Rosse a Potere Operaio a Prima Linea - continua ad uccidere, sistematica. Lascia a terra, tra gli altri, Giralucci, Zicchieri, Falvella, Ramelli, Venturini, Zilli, Mazzola, Mantakas, i Mattei, Mancia, Cecchin, De Angelis, Pedenovi, i quattro angeli della strage di Acca Larentia, oltre a tutti quelli che non sono citati in questa pagina.
La questione è sempre quella: uccidere un fascista non è reato, dunque a morte i fascisti. Non conta nulla se poi "i fascisti" hanno sedici anni o diciotto: sono obiettivi e vanno trattati come tali.
Alle famiglie delle vittime non verrà nemmeno lasciato il dolore, guardato con disprezzo dai giornali comunisti come l'Unità o il Manifesto, che ogni volta sostengono a gran voce la tesi del regolamento di conti tra fascisti, dando voce a persone come Franca Rame, paladina del soccorso rosso militante, che ha difeso fino all'ultimo anche le situazioni più indifendibili, scrivendo persino in più occasioni al Presidente della Repubblica di turno che i carcerati rossi non c'entravano mai nulla e andavano scarcerati. In più occasioni la campagna innocentista dei compagni si spinge fino alla conquista delle librerie, oltre che delle edicole.
Ora, invece, i compagni si sono evoluti. Respinto l'orrore del dopoguerra e degli anni di piombo, di cui oggi non riconoscono la paternità, sebbene i compagni "che sbagliano" sono ancora vivi e vegeti a differenza delle loro vittime, di comunista non è rimasto quasi nulla. Ora i comunisti rimangono tali solo nel nome: in realtà fanno più affari di chi il capitalismo non lo disprezza. Sono quelli di Legacoop, della CoopCostruttori e della CMR, quelli che "signora ci dia i soldi che tanto dietro c'è il partito e non succede niente" e poi quando tutto crolla si presentano con un buono della spesa di cento euro a persone che di euro ne hanno persi quattrocentocinquantamila. Sono quelli come De Benedetti, che ha lasciato il Banco Ambrosiano poco prima che venisse a galla il crac, arricchendosi come pochi; che ha fatto fallire l'Olivetti, la quale nonostante tutto per salvarsi annunciò un'OPA a Telecom Italia per 97 miliardi di lire, per lasciar perdere il giochino delle frequenze acquistate per Omnitel a suo tempo.
Il 25 aprile dev'essere ricordato come la fine - politica e storica, ma non reale - di una guerra civile che ha diviso in due il Paese. I fedeli alla RSI furono italiani - e degni - esattamente quanto i partigiani. Non vi furono, in quella guerra, i "buoni" e i "cattivi", da celebrare e ringraziare, ma lo stesso popolo che combattè tenendo fede ai propri princìpi. I partigiani poi non furono meno violenti dei fascisti, e anzi alcuni di questi erano persino meno liberali dei fascisti stessi.
Ecco perché non si può celebrare il 25 aprile come la vittoria del bene sul male, la caduta del fascismo per mano dei partigiani, a cui per senso comune bisogna essere riconoscenti.
Non ci siamo "liberati" del fascismo, ma della guerra. Abbiamo ottenuto una democrazia, sebbene abbiamo corso il rischio concreto di diventare uno stato satellite dell'URSS. Ora, però, nessuno chieda di inneggiare ogni anno alla resistenza. A questa resistenza.
Buona pasquetta.

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