martedì 26 aprile 2011

Il discorso (censurato) di Balboni jr di ieri

Ieri, alle manifestazioni evocative del 25 aprile, c'è stato un po' di trambusto sulle parole da usare sul palco. Secondo quanto riporta la Nuova Ferrara, Filippo Venturi - presidente regionale della Consulta Provinciale degli Studenti - ha deciso, poche ore prima dell'inizio del discorso, che quello preparato da Alessandro Balboni, figlio di Alberto, fosse troppo pesante per essere pronunciato in pubblico. Per questo, lo stesso ha deciso di optare per un altro discorso, preparato da un altro rappresentante di Consulta del Liceo Roiti: Lorenzo Barbieri.
Abbiamo chiesto a Balboni il testo integrale del discorso che avrebbe dovuto pronunciare.
Eccolo:
Il 25 Aprile dovrebbe essere una data di festa, di riflessione e di memoria. Pacificare significa capire, senza omettere alcuna pagina della nostra storia, che pure è viva nella memoria collettiva di un Popolo rendendolo tale. E' ciò che determina la nostra cultura democratica, moderna e aperta al dialogo.

Il 25 aprile per me è da sempre un’occasione sia di gioia che di dolore.
Gioia per la fine di un regime oppressivo e totalitario.
Dolore per gli orrori di cui si macchiarono le parti durante la guerra civile.
Affrontare il tema della «pacificazione nazionale» significa prendere atto che esistevano vari modi, spesso in buona fede, di essere italiani e di amare l’Italia.
Persino la resistenza aveva diverse componenti. Secondo le cifre dell’ANPI nel 1946 erano impegnati circa 200.000 partigiani nella lotta di liberazione, di cui 80.000 appartenevano alle associazioni non comuniste («Brigate del Popolo», «Fiamme Verdi», «Volontari della Libertà», «Squadre Bianche»).
Benchè dopo il 25 aprile la guerra fosse ormai finita, lo scontro delle parti non terminò. A quel punto chi aveva combattuto per la libertà dell'Italia si rivolse contro coloro che avevano una diversa concezione di lealtà e Patria. Molti degli 80 000 partigiani non comunisti affrontarono una triste fine, e al contempo continuò l'accanimento nei confronti degli sconfitti.
Nemmeno le nostre zone furono risparmiate da queste violenze. Basti pensare a San Giorgio di Piano che è uno di quei grossi paesi agricoli situati circa metà strada fra Bologna e Ferrara.
Nell’immediato periodo del dopo-liberazione solo in questa zona i «prelevati» sono stati 128. Centoventotto persone che furono portate via dalla loro casa e che mai più hanno fatto ritorno.
In quegli anni il detto "male non fare, paura non avere" non era applicabile, perchè queste persone non erano collaborazionisti o repubblichini, erano perlopiù persone semplici che col fascismo o la resistenza non avevano mai avuto a che fare.

Nella macabra fossa di Argelato sono stati rinvenuti diciassette cadaveri buttati alla rinfusa con un metro di terra addosso. Di questi, ben sette erano fratelli.

Erano i fratelli Govoni.
Di diciassette corpi solo uno porta segni di pallottole. Gli altri hanno tutti ossa spezzate e cranio fracassato. E’ tragico ricostruire gli istanti di quella rabbia inumana sull’orlo di questa fossa la notte del 2 maggio 1945 quando ignoti autonomi giustizieri torturarono queste persone, picchiandole con bastoni e spaccando alla fine il cranio a colpi di ascia.
Dei sette fratelli Govoni solo due avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana, ma li andarono a prendere tutti, uno per uno. Si presentarono alcune persone dal vecchio padre la sera e bussarono alla porta. Presero persino la giovane sposina che stava allattando il figlioletto Sergio. La mamma ventenne, che non aveva mai saputo niente di fascisti o di partigiani, morì tra sevizie orrende, invocando il suo bambino.
I corpi delle vittime furono sepolti subito dopo in una fossa comune, non molto distante dalla casa colonica.
Avvenne, quindi, tra gli assassini, la ripartizione degli oggetti d’oro in possesso dei "prelevati", mentre quelli di scarso o nessun valore furono gettati in un pozzo dove saranno rinvenuti.
Anche se per quest’orrendo crimine ci fu un processo che si concluse con quattro condanne all’ergastolo, la giustizia non poté fare il suo corso. Gli assassini, così come in altri casi, furono fatti fuggire e di loro si perse ogni traccia; successivamente, il crimine fu coperto da amnistia.

E' per la memoria delle insensate vittime dei nazisti e dei fascisti, per la memoria delle insensate vittime di partigiani, che mi auspico che il 25 aprile diventi un omaggio a tutte le componenti che hanno vissuto quella triste pagina di storia della guerra civile italiana.

Dobbiamo dare il nostro tributo a tutti coloro che fecero la fine dei fratelli Govoni, ai morti di Marzabotto e delle fosse Ardeatine e a tutte quelle vittime innocenti di una guerra fratricida che non dobbiamo dimenticare. Ai morti dobbiamo rispetto come ai vivi dobbiamo la verità.

Lo stesso spirito deve animare noi tutti per superare definitivamente ogni contrapposizione e per fare del 25 aprile una giornata di celebrazione, rispettosa del sacrificio di tutti coloro che diedero la vita per il proprio ideale. Penso ai tanti caduti in quella terribile lotta fratricida. Penso con eguale rispetto a tutti i caduti partigiani che seppero dare la propra vita per l'ideale che custodivano nel loro animo e nel loro cuore.
E' tempo della consacrazione di questa data come festa di tutti gli italiani che indipendemente dal giudizio storico su quei giorni, su quegli anni e su quegli episodi tremendi o eroici, oggi si riconoscono nei valori di libertà, pluralismo e democrazia. Valori che l'Italia seppe riaffermare fermamente in quei giorni e consacrare poi nella nostra costituzione. Una costituzione che nella sua prima parte resta il fulcro della nostra identità e dell'unità della nostra nazione.


Quello che è successo è per me chiaro. Se si deve parlare del 25 aprile non basta nemmeno essere imparziali o riportare fatti storici, bisogna essere necessariamente da una parte ben specifica della barricata.

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