giovedì 11 agosto 2011

Misure anticrisi

Ovvero perché le manovre annunciate non ci convincono e potrebbero non convincere nemmeno gli speculatori.


Una crisi economica avviene quando, a causa dei più disparati fattori, i cittadini non hanno più soldi da spendere. A causa di questo, le aziende dovranno produrre meno; per farlo avranno bisogno di meno dipendenti, licenziando quelli in esubero a causa della ridotta produttività. Questi (ex) dipendenti non avranno poi liquidità, e la ruota gira.
La catena si spezza dando soldi ai cittadini tramite politiche economiche decise dai governi, ovvero abbassando - ove possibile - le imposte e le tasse e applicando sgravi fiscali, in modo da ridare fiato alla popolazione e indurla ad aumentare i consumi.
Però, se tutto questo è stato fatto durante la crisi del 2008, non può essere ripetuto ora. Le risorse per salvare eventuali banche in crisi scarseggeranno, ma non è questo il punto.
Il vero problema è che questa crisi è diversa dalla precedente. Come ha recentemente illustrato il Wall Street Journal non vi è più una crisi dovuta all'euforia delle banche che hanno concesso mutui e prestiti ad alto rischio di insolvenza: la crisi è ora di fiducia, e chi possiede capitali non li investe. Difficile biasimarli, vista la totale imprevedibilità dei mercati borsistici e vista - soprattutto - la traballante manovra economica del Governo, che tenta di raffazzonare i buchi di bilancio e di frenare l'attacco speculativo ma che allo stesso mette totalmente in disparte un aiuto alla crescita produttiva del Paese.
Andiamo per gradi.
Tagliare i tributi e proporre sgravi fiscali sarebbe utile, tuttavia, per la legge del contrappasso, fa correre la spesa pubblica, e l'Italia non se lo può permettere, avendo il terzo debito pubblico al mondo (il 118% rispetto al PIL, secondo solo agli Stati Uniti - che però possono stampare dollari a loro discrezione, sebbene rischiando l'inflazione dovuta alla svalutazione della moneta - e Giappone - come sopra -).
Anche se i fondamentali del Paese sono buoni, instabilità politica (leggasi le grane giudiziarie di Milanese e Tremonti) e attacchi speculativi hanno reso nei giorni scorsi particolarmente vulnerabili i nostri titoli di Stato, che servono al nostro Paese per finanziarsi, i quali per essere acquistati necessitano di promettere agli investitori rendimenti più alti, con costi che faranno strabuzzare gli occhi ai ragionieri dello Stato nei prossimi anni.
Per questo motivo il ministro Tremonti, durante la conferenza stampa del 5 agosto ha annunciato l'obiettivo del raggiungimento del pareggio di bilancio entro il 2013 (e l'introduzione di questo principio nella Costituzione), e per lo stesso motivo la riduzione delle imposte è un palese miraggio - anche se i maligni diranno che era un miraggio anche prima, e probabilmente hanno ragione.
Partendo dal presupposto che lo Stato per arginare la crisi deve prima mettere i suoi conti in regola, e notando come sia particolarmente dispendioso il finanziamento tramite titoli di Stato - oltreché in contrasto con la politica di riduzione del debito sovrano -, non rimane che aumentare le imposte (leggasi ticket sanitari, ma non solo) e tagliare le spese pubbliche.
Tutto questo è stato fatto, ma ciò non rimane che una misura provvisoria: finita la crisi vi sara una maggiore stabilità finanziaria, ma la crescita tarderà ad ingranare.
Ci si chiede quindi il perché dell'assenza di tali misure, che potrebbero essere adottate quasi in equilibrio.
Lo sblocco del patto di stabilità per i Comuni virtuosi avrebbe l'effetto di far riprendere i lavori delle opere pubbliche (sindaci e CMR permettendo), e i mancati introiti derivanti da una tassazione agevolata per le imprese che assumono e non delocalizzano potrebbero essere parzialmente recuperati grazie all'adozione di un'imposta patrimoniale sui soggetti che superano i duecentomila euro di reddito - solitamente i titolari d'impresa -: l'imposta colpirebbe grossomodo gli stessi soggetti (e quindi le stesse imprese) che potrebbero risultare agevolati nel caso attuino le condizioni di cui sopra.
Ed è inutile che Berlusconi sbotti contro la patrimoniale e i princìpi del suo mandato: abbiamo visto come sia possibile attuare queste misure senza mettere le tasche nelle mani degli italiani e, soprattutto, non è tempo per le campagne elettorali, ancora lontane. Semmai, è il tempo di dimostrarsi statisti; per una volta almeno.



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