lunedì 14 marzo 2011

A caccia di consensi. A scuola.

Succede, a volte, di dover raccontare episodi disgustosi, seppur senza nessun tipo di voglia di farlo.
Solo, si avverte quel senso di urgenza che ti fa tamburellare come un pazzo le mani sulla tastiera, alla ricerca affannosa di parole che possano rappresentare bene la situazione.

Succede, ad esempio, che un Presidente del Consiglio si azzarda a dire che la scuola, tramite alcuni suoi docenti, insegna "valori contrari a quelli della famiglia". Per farla breve, fa propaganda. Lo stesso Presidente, cercando di evitare critiche sterili, il giorno dopo fa chiarezza sulle sue parole e anzi riconosce che, per il lavoro di responsabilità che svolgono, i docenti guadagnano poco.
La precisazione serve a nulla: la propaganda esiste davvero, e come è stata propinata - in modo subdolo - in passato viene propinata ora. Solo, ora si può farlo alla luce "per difendere la scuola pubblica" (o la Costituzione, che da legge fondamentale dello Stato è stata oltraggiata utilizzandola come accusatrice assortita di Berlusconi).
Alcuni esempi sono chiarificatori. Sia chiaro, li ho vissuti tutti in prima persona, quindi inutile speculare sulla loro veridicità - tanto più che firmo senza troppi problemi questo articolo -.
A giugno, entro con il Corriere della Sera e il Giornale, e, dopo averli posati, una prof chiede chi ne sia il proprietario. Rispondo, e la stessa, guardandomi con un misto di disprezzo e di pietas umana, annuncia: "Feltri (allora direttore del Giornale, ndr) è la persona più spregevole che conosca". Consiglio non richiesto, ma tant'è.
Più recentemente, ho solo l'imbarazzo della scelta. In ordine cronologico: una copia di Libero - mia, certo - lanciata da una docente dalla finestra del terzo piano; "Berlusconi pensa solo al bunga bunga"; "La riforma fiscale è una presa per il culo"; "Io vi indirizzerei sulla via della rivoluzione"; "Berlusconi è potentissimo: può addirittura cambiare la data di nascita di una persona nata in Marocco" e via discorrendo.
In un caso una prof, mai avuta prima ma che conosceva le mie idee politiche - del resto non ne faccio mistero -, si mise anche a sparlare con me di un esponente locale del PdL, conosciuto anni prima.
Non è finita: due mesi fa ho parlato per venti minuti durante una assemblea organizzativa, spiegando perché fui contro l'idea di un'autogestione. "Sei un fascistello!", mi dissero. Parlare per venti minuti, quale grande oltraggio...
Se consideriamo poi che una delle idee per convincere gli studenti ad organizzare un'autogestione di tre giorni era quella di parlare dall'alto di una scala antincendio durante l'intervallo, essere chiamato fascista da persone di tale partigianeria, incoscienza e calibro diventa quasi motivo di orgoglio.
Arriviamo al culmine con un episodio (nel caso gli altri non vi fossero bastati): due giorni fa un professore - noto per far vedere in aula magna puntate di Presa Diretta durante le sue supplenze - intercetta gli studenti all'entrata da scuola e gli affibbia un volantino di un'associazione "a difesa della scuola pubblica" che li esorta a partecipare il 12 marzo ad una manifestazione "a difesa della cultura".
Ora, se ci riuscite, dite ancora che la scuola non è un serbatoio di indottrinamento politico. Io, non mi azzardo nemmeno.

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