martedì 18 gennaio 2011

Afghanistan, La Russa rompa gli indugi e spieghi cosa ne sarà della missione

Pochi minuti fa ci ha raggiunto la notizia che un soldato italiano è morto a seguito delle ferite riportate dopo uno scontro a fuoco nella base di Bala Murghab, in Afghanistan. È la trentaseiesima vittima italiana.
La dinamica pare ricordare quella della morte di Matteo Miotto, caduto meno di due settimane fa.
E allora, dopo il silenzio assordante della mancanza di commenti da parte delle forze politiche, è ora di rimettere in gioco alcuni dogmi sulla missione e vedere se nel frattempo sono diventati anacronistici.
L'ultimo dell'anno, alla notizia della caduta di Miotto, il ministro della difesa Ignazio La Russa, oltre alle condoglianze di rito, seppur sincere, si fece strappare dai cronisti la frase "Trentacinque vittime sono troppe, ma dobbiamo assolvere gli impegni presi a livello internazionale e mantenere la pace". È evidente, se non la confusione, quantomeno il dubbio.
Ora che, dopo quasi dieci anni, dopo oltre 20 miliardi di euro spesi per le forze armate, dopo che una missione di pace ci è costata, finora, in termini umani, 36 vite, bisogna ritornare a chiedersi se ancora ne vale la pena.
Il ministro non sembra tanto d'accordo ma acconsente a causa degli "impegni internazionali", con frasi così in chiaroscuro che non si capisce se la sua idea sulla missione sia chiara o scura.
Il ministro deve quindi, d'intesa con il consiglio e con il parlamento, con uno scatto d'orgoglio, rompere gli indugi e schierarsi nettamente a favore o contro la missione, dopo le uscite recenti, assumendosi la responsabilità delle sue scelte. È un atto dovuto all'Italia intera.

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