venerdì 28 gennaio 2011

Riforme latitanti. Lettera aperta al Presidente del Consiglio

Egregio on. Silvio Berlusconi,
Negli anni trascorsi ha mostrato più di una volta agli italiani il suo coraggio e la sua forza.
Ci ha dimostrato, col tempo, di essere estraneo ai fatti di mafia.
Ci ha dimostrato, col tempo, di non aver corrotto giudici.
Ci ha dimostrato, col tempo, di non aver pagato tangenti alla GdF.
Ci ha dimostrato, col tempo, che Forza Italia prima, e il PdL poi, furono e sono entrambi partiti composti di gente onesta.
Ci ha dimostrato, col tempo, di essere estraneo alle stragi del '92 e del '93.
Ha fatto notare spesso quanto la burocrazia sia lenta e snervante.
Ha fatto notare spesso quanto le leggi fiscali possano essere ossessive.
Ha fatto notare spesso quanto alcuni giudici possano essere influenzati dalla loro idea politica nel giudicare alcuni imputati.
Ci sta facendo notare, nei modi più disparati, la sua estraneità alle notizie provenienti dalla Procura di Milano che riguardano la sua sfera privata.
L'unica cosa che non abbiamo avuto modo di notare, ne abbiamo potuto comprovare, è, nei fatti, lo scopo per cui la maggioranza degli italiani l'ha votata alle scorse elezioni: le grandi riforme e le grandi opere promesse a questo Paese.
Mi consenta, presidente.
La pressione fiscale nel 2008 ha sforato il 43% del PIL, il terzo risultato al mondo. Le previsioni non sono rosee, anzi, almeno per un altro anno ancora, secondo lo stesso DPEF del 2008. Di riforma del fisco si sente parlare molto ma si vede fare poco. La doppia aliquota sul prelievo IRPEF, al 23 e al 33 percento, l'ha promessa fin dal lontano 1994. Allo stato attuale, sebbene tutti, dall'operaio al top manager, la invochino con la stessa veemenza della resurrezione di Cristo e con la stessa grinta del tifo per la nazionale di calcio in occasione dei mondiali, è ancora un miraggio, se non un tabù. E, dato che questa idea è rivoluzionaria quanto semplice (si tratta di chiedere meno soldi ai cittadini), ma richiede sforzi intensi, dal punto di vista finanziario, a causa del minor prelievo fiscale, per ora non se ne parla nemmeno, nelle condizioni in cui versa l'economia.
Mi consenta, presidente.
In Italia i processi, sia civili che penali, sono di una lentezza esasperante. Non è un problema nuovo, anzi. I tempi dei processi in Italia spaziano dai 6 mesi (in caso di ricorso urgente al TAR, se lo stesso accoglie la richiesta di sospensiva: per farla breve, mai) agli oltre 20 anni. Non è la norma, ma è davvero così. 20 anni, 1044 mesi, 7305 giorni, oltre 175 mila ore. Nello stesso tempo in cui una vita fa in tempo a essere concepita, nasce, cresce ed è pronta a votare, se non l'ha già fatto; i tribunali si occupano delle stesso caso. L'unica risposta che il governo ha provato a dare è stato il disegno di legge S. 1880 ("Misure a tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi"), il cosiddetto "processo breve". Oggettivamente non era cosa e, diciamolo, le misure non erano a tutela "del cittadino", non "dei cittadini". Dire che la riforma della giustizia è latitante è comporre un eufemismo tanto tristemente divertente quanto azzeccato.
Non voglio, e non è il caso, andare oltre. Lei è uomo di mondo, e sa bene a che altro mi riferisco. E sa ancora meglio che, tutto sommato, basterebbero queste due fondamentali riforme per rivoluzionare il Paese, l'Italia che tanto ama (e ha tanto amato, soprattutto).

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